Relazione per il seminario del 13 Ottobre 2018 – Hotel Portamaggiore – Roma
di Giuseppe Angiuli
————
- IL NUOVO QUADRO GLOBALE. LE LINEE-GUIDA DELL’AMMINISTRAZIONE TRUMP: DALL’UNILATERALISMO AGGRESSIVO AI PRIMI VAGITI DI UN NUOVO MONDO MULTIPOLARE.
Il nuovo assetto delle relazioni internazionali delineatosi a partire dall’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca risulta gravido di enormi novità sul piano dei rapporti di forza tra i grandi attori protagonisti nel contesto globale. Inquadrare esattamente i contorni di tale nuovo assetto di rapporti risulta imprescindibile per chi – come noi patrioti costituzionali – voglia provare a suggerire al nostro Paese, l’Italia, la riassunzione di una politica estera contraddistinta da inedite caratteristiche di una più significativa autonomia di azione e di maggiore sovranità nelle decisioni.
Per prima cosa è fondamentale comprendere che gli U.S.A. dopo la vittoria di Trump non sono più gli stessi di prima.
All’interno dell’establishment della grande superpotenza nordamericana è andata sviluppandosi una inedita e profonda frattura di enormi dimensioni che vede contrapporsi due visioni strategiche del tutto antitetiche ed inconciliabili tra loro, con una intensità di scontro tra fazioni che in questi termini forse non si vedeva almeno dai tempi dello scandalo Watergateche coinvolse Richard Nixon nei primi anni ‘70.
Tale dicotomia vede contrapporsi da un lato una fazione globalista, militarista, guerrafondaia, legata prevalentemente agli interessi del grande capitale finanziario speculativo e, dall’altro lato, una fazione anti-globalista, più realista, maggiormente legata al concetto di centralità della nazione americana ed agli interessi del capitale produttivo.
La fazione attualmente perdente, quella globalista, ha visto e vede al suo interno come alleati il Partito Democratico dei Clinton e di Obama e la componente neocondel Partito Repubblicano, una componente che fino a poco tempo fa vedeva nello spregiudicato John Mc Cain, scomparso solo di recente, uno dei principali strateghi attivi sui più delicati scenari internazionali.
Tale fazione globalista in questi ultimi anni ha provato disperatamente e con ogni mezzo a mantenere intatto il ruolo degli Stati Uniti quale unica superpotenza indiscussa all’interno di un mondo a conduzione unipolare. Lanciando l’operazione sporca delle Primavere Arabenel 2011 – un’operazione che oggi per fortuna possiamo definire fallita – l’amministrazione Obama-Clinton, con il supporto esplicito di John Mc Cain, aveva provato a mettere in atto una generale destabilizzazione degli equilibri di buona parte del medio oriente, puntando a smantellare le strutture statali ed i governi di ispirazione laico-patriottica presenti nella regione (Egitto, Tunisia, Libia, Siria) e provando ad affidare il potere in quegli stessi Paesi all’islam radicale sunnita, in particolare a quella branca dell’islam politico riunito nella galassia della Fratellanza Musulmana.
Al contempo, con il colpo di Stato realizzato a Kiev nel 2014, la fazione globalista è riuscita nell’intento di fomentare caos e destabilizzazione in una delle nazioni storicamente più vicine alla Russia, l’Ucraina, favorendo in quel contesto l’ascesa inarrestabile di sentimenti nazionalistici e russofobi con l’obiettivo di privare Mosca di un fondamentale partnereconomico-commerciale; contestualmente, tramite il golpedi Piazza Majdan, si è provato ad erigere un muro invalicabile tra la stessa Russia e l’intera Europa occidentale, impedendone in ogni modo possibile la reciproca integrazione. Tale intento di frapporre una barriera tra Russia ed Europa appare clamorosamente confermato dall’assurda politica di sanzioni economiche che negli ultimi 3-4 anni hanno investito la Russia con il più che discutibile avallo degli organismi dell’Unione Europea.
Come dicevo, a partire dall’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca nel novembre del 2016, nell’establishmentnordamericano si sta affermando – sia pure tra enormi intralci e contraddizioni – una nuova fazione, che per semplificare possiamo definire anti-globalista, la quale coltiva una concezione profondamente diversa sul tipo di egemonia che gli Stati Uniti sono chiamati a ricoprire nel mondo, una concezione che, pur seguitando nell’attribuire agli USA il compito di attore protagonista degli scenari internazionali, intende rivisitare radicalmente le priorità dell’agenda politica di Washington, a partire dalla realizzazione dello slogan: America First!(l’America prima di tutto!).
Con Trump alla Casa Bianca, gli Stati Uniti sembrerebbero dunque orientati verso un sensibile rilancio della propria economia produttiva e manifatturiera, nonché verso una seria messa in discussione del modello della globalizzazione neo-liberista affermatosi in almeno 4 decenni di accordi di libero scambio perfezionati ad ogni livello nel mondo, un modello che, com’è noto, ha consentito alla Cina quella formidabile espansione della sua presenza nel commercio mondiale.
Nel quadro dei rapporti internazionali odierni, l’America di Trump sembrerebbe finalmente propensa a mettere da parte la tattica rude del regime change, del cambio di regime violento in quegli Stati-nazione come l’Iraq, la Libia e la Siria, ecc. le cui decisioni si pongano in contrasto con gli interessi strategici dello zio Sam. In questo senso, debbono essere letti i recenti accordi sottoscritti tra Washington e Pyongyang e le recenti intese intervenute tra Trump e Putin sulla definitiva cessazione delle ostilità in Siria e sulla ricostruzione del Paese arabo col riconoscimento dell’intangibilità delle funzioni del legittimo Presidente siriano Bashar al Assad. Tuttavia, non può sottacersi che tale nuova visione dei rapporti internazionali coltivata dall’Amministrazione Trump sta incontrando delle forti resistenze da parte dei fautori del complesso militare-industriale di Washington, riuniti nel cosiddetto “Stato profondo” (o deep State), un coacervo di poteri che storicamente sfuggono ad ogni controllo da parte degli organismi democratici interni alla nazione americana e che appaiono decisi, oggi più che mai, ad ostacolare in qualunque modo il nuovo corso inaugurato da Donald Trump.
Per ciò che attiene agli effetti che tale scontro in atto a Washington è destinato nel medio periodo a produrre per noi europei, risulta decisiva la rispettiva concezione che i citati schieramenti coltivano sul ruolo dell’Alleanza Atlantica: la fazione globalista, affiancata dal complesso militare-industriale di Washington, non ha mai smesso di coltivare il disegno espansivo di una NATO sempre più allargata, che nei progetti dei democratse dei neoconsdovrebbe tranquillamente arrivare a lambire i confini della Russia.
Sull’altro versante, la nuova amministrazione americana sembrerebbe avere preso atto dell’inevitabilità di un ridimensionamento della NATO, nel senso che Trump e i suoi più stretti consiglieri si sono resi conto della insostenibilità di una strategia fondata sull’unipolarismo aggressivo e mostrano di avere compreso la necessità per gli Stati Uniti di giungere a rinegoziare la propria sfera di influenza in alcune aree del mondo con le altre Potenze emergenti: in questo senso, l’amministrazione Trump si sta strenuamente battendo per convincere il comando dell’Alleanza Atlantica ad accettare un parziale arretramento dalla linea di confine con la Russia.
Ultimo – ma non per importanza – tra i principali obiettivi strategici perseguiti dall’amministrazione Trump vi è il desiderio di indebolire, se non di disarticolare nel medio periodo, tutte le più importanti reti istituzionali a carattere trans-nazionale e globalista, a cominciare dall’Unione Europea, i cui Trattati ordo-liberisti ed i cui rigidissimi vincoli di bilancio imperniati sul meccanismo della moneta unica oggi manifestano i loro effetti più vistosi nell’avere consegnato alla Germania ed alla sua grande borghesia mercantile il dominio assoluto ed incontrastato del mercato interno europeo.
Ecco allora che le imminenti elezioni parlamentari di metà mandato, in programma il prossimo 6 novembre, costituiranno un appuntamento decisivo al fine di rafforzare ovvero interrompere il nuovo ciclo politico avviatosi in America due anni fa.
Se l’amministrazione Trump dovesse ricevere una conferma positiva per la sua azione politica dalle prossime elezioni di mid-term, è facilmente prevedibile che il Governo americano, in questo senso supportato da Londra, possa accentuare la sua offensiva verso l’Unione Europea e, più in particolare, verso il suo baricentro franco-tedesco, con delle conseguenze ad oggi non facilmente prevedibili sul terreno degli assetti geopolitici del nostro continente.
- COME APRIRE NUOVI SPAZI DI SOVRANITÀ PER L’ITALIA IN POLITICA ESTERA.
UN NUOVO RUOLO EURO-MEDITERRANEO PER IL NOSTRO PAESE.
Nel quadro descritto, appaiono evidenti le sensibili novità che per il nostro Paese potrebbero aprirsi nell’attuale contesto in profonda trasformazione, un contesto contraddistinto dalla lenta transizione da un vecchio mondo unipolare verso un nuovo mondo multipolare, sempre che l’Italia riesca effettivamente a sfruttare appieno le potenzialità della nuova fase.
Gli stretti vincoli dettati dal quadro di integrazione dell’Unione Europea e dai trattati militari dell’Alleanza Atlantica in questi ultimi decenni hanno decisamente limitato – quando non umiliato – il ruolo dell’Italia nei rapporti internazionali.
La vicenda della destabilizzazione della Giamahiria Libica Popolare e Socialistanel 2011 con la destituzione violenta del colonnello Muahammar Gheddafi, storico partnerpolitico e commerciale per il nostro Paese per più di 40 anni, verrà a lungo considerata come uno degli esempi più clamorosi della perdita di influenza dell’Italia all’interno del contesto euro-mediterraneo.
Lo scenario caotico determinatosi in Libia a partire dalla scomparsa di Gheddafi ha costituito e costituisce per l’Italia un motivo di serio e grave imbarazzo, soprattutto se si pensa alla perdita di credibilità per un Paese come il nostro che nel 2011 ha consentito l’utilizzo di basi aeree posizionate sul suo territorio per mettere in atto dei bombardamenti il cui dichiarato obiettivo era quello di destabilizzare un legittimo Governo di uno Stato sovrano con il quale appena pochi mesi prima il nostro Governo aveva siglato un trattato di amicizia e di mutua assistenza economica e militare.
Il prossimo svolgimento in quel di Palermo di un vertice internazionale convocato per favorire la stabilizzazione della Libia, a cui sono stati invitati i rappresentanti delle più significative fazioni tribali che oggi combattono per la conquista dell’egemonia politica in quel contesto, può costituire una inedita occasione per il nostro Paese di recuperare almeno un po’ della sua credibilità persa in questi ultimi anni di fedele e acritico servaggio ad interessi di potenze straniere in evidente contrasto col nostro interesse nazionale.
Per ciò che attiene all’Egitto, ossia il più grande e popoloso Paese del mondo arabo, appaiono apprezzabili i recenti tentativi di ristabilire dei corretti e sereni rapporti col Governo del Generale Al Sisi, dopo che la nota vicenda dell’omicidio di Giulio Regeni aveva ingiustamente interrotto un quadro di normali relazioni politico-diplomatiche tra i due Paesi. A questo proposito, dati i contorni per nulla chiari della vicenda dell’assassinio del nostro concittadino, non si può affatto escludere il coinvolgimento in quello sporco affare di alcuni servizi segreti di Governi stranieri terzi, i quali potrebbero avere avuto in qualche modo un interesse ad ostacolare il consolidamento di rapporti costruttivi e fecondi tra Roma e Il Cairo.
Sul piano dei rapporti del nostro Paese con la Russia, è apparso senz’altro incoraggiante l’intendimento espresso dal Presidente del Consiglio Conte nel corso del suo discorso inaugurale pronunciato alle Camere qualche mese fa all’atto del suo insediamento, di volere ristabilire un quadro di relazioni all’insegna del reciproco rispetto con la grande nazione eurasiatica. Anche se fino ad oggi a tale intendimento non è ancor seguita la chiara presa di posizione dell’Italia per la revoca della politica di assurde sanzioni economiche verso Mosca, che solo tanti danni ha cagionato alla nostra economia ed alle nostre esportazioni, riteniamo che sia questa la strada giusta da perseguire e ci auguriamo che, anche da tale punto di vista, il governo giallo-verde faccia presto seguire alle parole i fatti.
Attorno alla drammatica questione dell’immigrazione clandestina e della tratta di uomini nelle acque del Mediterraneo, è apparso decisamente condivisibile il tentativo del Governo italiano di rivendicare con forza al cospetto di altre nazioni europee come la Francia dell’arrogante Macron – che ha delle evidenti responsabilità nella copertura politica offerta ad alcune ONG – un maggiore rispetto delle prerogative del nostro Paese in tema di tutela della sicurezza dei suoi confini e di protezione dei cittadini italiani da ogni possibile contesto di caossociale incontrollato. Accanto a tutto ciò, nella lotta al fenomeno dell’immigrazione clandestina, sarebbe di estrema importanza accompagnare le giuste politiche per la sicurezza dei nostri confini con la promozione di politiche di sviluppo socio-economico per il continente africano, all’insegna del riconoscimento della giusta aspirazione di quei popoli ad affrancarsi da ogni forma residuale di dominio coloniale, a cominciare dalla denuncia dell’ingombrante ed anti-storica ingerenza della Francia in buona parte delle nazioni oppresse dell’Africa sub-sahariana.
Per noi fautori dell’area politica del patriottismo costituzionale, che ci muoviamo in un’ottica di un auspicato recupero di maggiori margini di sovranità per il nostro Paese, appare centrale oggi la necessità di richiamare tutti quanti allo studio ed all’approfondimento di alcune linee di politica estera che nel corso del Novecento consentirono all’Italia di presentarsi sulla scena internazionale come un Paese serio, forte ed autorevole.
Sotto l’esempio e la guida di grandi statisti come Enrico Mattei, Aldo Moro e Bettino Craxi, l’Italia seppe costruire una fitta rete di solide relazioni internazionali con buona parte del mondo arabo e del bacino euro-mediterraneo, fondate sul reciproco riconoscimento di pari sovranità e su principi di sana e mutua cooperazione nel campo economico, a cui spesso si accompagnava una sapiente capacità dell’Italia di riuscire a porsi quale abile soggetto mediatore nei conflitti più delicati e difficili da affrontare, come nel caso del conflitto israelo-palestinese.
A quella saggia politica estera voluta e attuata in passato da Mattei, Moro e Craxi oggi noi guardiamo come ad un modello da emulare e da riproporre nell’attuale rinnovato contesto, bene consapevoli del fatto che in mancanza del recupero di una forte proiezione del nostro Paese sugli scenari globali, in assenza di un significativo rilancio del ruolo internazionale dell’ENI, della Finmeccanica e delle altre nostre grandi aziende di punta, un tempo fiori all’occhiello della nostra economia nazionale ma oggi umiliate da decenni di politiche errate che puntavano surrettiziamente al loro smantellamento, in mancanza di azioni politiche che restituiscano al nostro Paese quel protagonismo che fu di tempi migliori, l’Italia non potrà tornare a presentarsi sulla scena internazionale come un Paese degno del migliore rispetto e considerazione.
Pertanto, noi patrioti costituzionali ci batteremo da oggi e per il futuro per un’Italia forte, autorevole e capace di ri-organizzare una politica estera all’altezza degli interessi e delle aspettative delle giovani generazioni e delle componenti più dinamiche del nostro Paese.