Relazione per il seminario del 13 Ottobre 2018 – Hotel Portamaggiore – Roma
di Paolo Lo Conte
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Montesquieu nell’anno 1748 scriveva: «Qualche elemosina fatta ad un uomo nudo per le strade non basta ad adempiere gli obblighi dello Stato, il quale deve a tutti i cittadini la sussistenza assicurata, il nutrimento, un abbigliamento decente, e un genere di vita che non sia dannoso alla salute».
È una frase che potrebbe essere scritta oggi. Il significato di solidarietà in questo momento storico ci sfugge dalle mani. Molte delle costituzioni degli Stati che appartengono all’Europa nominano il principio di solidarietà ed esso compare in più di un punto nel trattato di Lisbona e soprattutto dà il titolo a uno dei capitoli della Carta dei diritti fondamentali della UE. Viene invocato come regola dei rapporti sociali, alla quale devono attenersi gli Stati. Di fatto le politiche europee hanno imposto la riduzione dello stato sociale in nome della supremazia di tendenze neoliberiste, che hanno di fatto creato una nuova contro-costituzione dove la solidarietà viene svenduta sull’altare del finanzcapitalismo mondiale e di politiche economiche restrittive. Tutto ciò ha tradito il messaggio dei grandi europeisti svilendo di fatto l’istituzione europea a mera contabilità di bilancio.
Nell’ambito della solidarietà si innestano storie ed esperienze umane diverse, al di là dei secoli e al di là della fede religiosa e politica.
Mi piace ancora ricordare un prete, che nel 2002 è stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II e proclamato santo nel 2016 da Papa Francesco; Lodovico Pavoni, (Brescia, 11 settembre 1784 – Saiano, 1º aprile 1849) è stato un presbitero italiano, fondatore della Congregazione religiosa dei Figli di Maria Immacolata (Pavoniani).
La sua idea di collegio d’arti del 1821 è il primo esempio di formazione professionale, assoluta novità per l’epoca; si tratta di una vera scuola tecnico-professionale dotata di laboratori e officine che non solo permettono ai giovani di esercitarsi, ma diventano centri produttivi. Ben undici sono i profili professionali: tipografi, calcografi, stampatori, legatori, cartolai, argentieri, fabbri ferrai, falegnami, tornitori, calzolai, agricoltori.
Con oltre quarant’anni d’anticipo sulla Rerum Novarum di Leone XIII (15 maggio 1891), l’enciclica con la quale la Chiesa cattolica compie una prima riflessione sui processi sociali innescati dal confronto tra capitalismo e socialismo marxista, e ben 19 anni di anticipo rispetto alla pubblicazione, nel 1848, del manifesto del partito comunista di Karl Marx, Pavoni sottoscrive con il maestro dei fabbri ferrai un contratto di lavoro, che non solo è a tempo indeterminato, ma assicura assistenza in caso di malattia o infermità, garantisce un equo trattamento pensionistico e stabilisce che il licenziamento sarà possibile solo in caso di mancanze gravi e comunque con almeno sei mesi di preavviso. Ma non basta. Nel 1845, in un altro contratto, riguardante questa volta il maestro degli intagliatori, Pavoni attua già la dottrina del salario familiare (che la Chiesa inserirà nel complesso della sua dottrina sociale nel 1931 con la Quadragesimo anno di Pio XI) e anche quella della compartecipazione agli utili, le cui prime applicazioni riconosciute sono avvenute negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia.
Agli albori del Novecento i cattolici, superando il “Non expedit” (il divieto di partecipare alla politica e alle elezioni politiche e amministrative) iniziano così a seminare le premesse del superamento dello Stato elitario e censitario liberale del primo cinquantennio dell’Italia unitaria.
Nel 1919, Don Luigi Sturzo dopo vent’anni, di generosa dura e geniale attività pastorale, culturale, civile, politica, amministrativa, fonda il Partito Popolare Italiano, lanciando lo storico “Appello ai “Liberi e Forti”.
Il fascismo interrompe sciaguratamente questo straordinario percorso.
Frattanto, la componente cattolica opera nella Resistenza e contribuisce a riscattare l’onore dell’Italia, contribuendo eroicamente alla Liberazione della Patria nel 1945.
La Costituzione repubblicana del 1946-47 sancisce uno dei più grandi capolavori del cattolicesimo democratico italiano, insieme con le altre due componenti ideali e politiche quella di ispirazione laburista socialista, e quella liberaldemocratica e solidale.
Il nucleo strutturale e propulsivo di tale sapientissima sintesi è rappresentato dal compromesso tra il grande capitale e il Popolo: il COMPROMESSO KEYNESIANO.
Vale a dire: la componente privata, la componente pubblica, la componente sociale e cooperativa. Un assetto economico, sociale e politico ispirato ad una SUSSIDIARIETA verticale e orizzontale.
Una Costituzione solida ed equilibrata, contro ogni estremismo mercantilista e statalista. Un capolavoro di quelle generazioni ancora oggi vitale e moderno.
Su questa Carta Costituzionale keynesiana si da vita al successivo favoloso TRENTENNIO dal 1945 al 1975: il c. d. miracolo economico, la nascita della vastissima classe media, la tenuta della coesione sociale-territoriale e della democrazia italiana, l’affermazione clamorosa dell’Italia come grande potenza manifatturiera mondiale, un benessere distribuito, uno Stato sociale degno di tal nome, pur con tutti gli squilibri connessi.
Il cattolicesimo democratico italiano è stato e storicamente resta autore e protagonista essenziale di questo successo storico, insieme alle altre componenti anch’esse popolari e keynesiane.
Pensiamo, ad esempio, alle POLITICHE MERIDIONALISTE di quel trentennio, pur con tutti i limiti e storture del caso. Il successo storico sostanziale e indubitabile della CASSA PER IL MEZZOGIORNO, nel trentennio 1950-80, ormai acclarato anche in sede storiografica. Oggi invece, con il passaggio alla seconda repubblica, la questione meridionale è sparita dai tavoli politici, economici e culturali.
Ebbene, si ricordi che lo stratega, l’animatore indomabile di quella illuminata esperienza è stato Pasquale Saraceno, il cattolico democratico della Valtellina, massimo tra i meridionalisti, alla pari con Sturzo, Gramsci, Dorso, Salvemini. Contenuti oggi purtroppo dimenticati, marginalizzando di fatto sempre più il sud.
Quell’Italia del trentennio glorioso, che i nemici del popolarismo vero e genuino, sbeffeggiano come “L’ITALIETTA DELLA LIRETTA”.
A partire dal 1975 cominciano i segni di un cambiamento. Tutto è messo in discussione e sovvertito: lo Stato sociale, i diritti del lavoro, l’esistenza stessa di autonomie locali degne di questo nome, lo Stato
di diritto con conseguente distruzione-autodistruzione dei partiti e l’indebolimento della famiglia, delle autonomie locali, dei sindacati,
dell’associazionismo libero, delle scuole e università e delle parrocchie.
Alcuni ricorderanno lo sciagurato auspicio, la nefasta profezia, contenuti nel Rapporto del 1975 della cosiddetta Commissione Trilaterale, “La crisi della democrazia. Rapporto sulla governabilità della democrazia”. Non ultimo l’accordo privato tra Banca d’Italia e Tesoro (non votato dal parlamento) che ha contribuito alla nascita del nostro abnorme debito statale.
Il capitalismo globale finanziario e speculativo, comincia a prendere campo, percorrendo TRE VIE: la MONDIALIZZAZIONE dell’economia, con la totale, selvaggia, sregolata libertà di movimento dei capitali;
la FINANZIARIZZAZIONE dell’economia, rovesciando il rapporto tra economia reale e sistema monetario e finanziario. La finanza mondiale è riuscita a far diventare capitalista nazioni come il Vietnam e la Cina che ancora oggi si professano comunisti e praticano invece un capitalismo selvaggio, che provoca enormi differenze fra ricchi e poveri;
l’INFORMATIZZAZIONE del sistema finanziario, reso potentissimo, dominante, inafferrabile, totalitario sull’intera vita umana. Disarmando, così, tra gli altri, gli Stati sovrani, le Costituzioni, la Democrazia, la Politica, i Partiti, i Sindacati, i Corpi intermedi, le Famiglie, le micro, piccole e medie imprese. Dando un colpo mortale ai ceti popolari e medi.
COSA FARE ALLORA?
Far finta di non vedere? Di non capire? No!
Attendere? che “ha da passà a nuttata”. No!
Galleggiare? Ci siamo già impoveriti. No!
Collaborare, svendendosi? Come ha fatto il PD. No!
Accettare l’attuale mondo? Come “il mondo migliore possibile”. No!
Dobbiamo invece:
Analizzare le perversioni del finanz-capitalismo globale, speculativo; concepirlo come fatto revocabile in quanto STORICO e quindi modificabile e riformabile. Studiare ed approfondire il pensiero Marxista e Gramsciano, approfondendo altresì tutte le encicliche sociali della Chiesa dalla Rerum Novarum ad oggi. Questa deve essere la nostra linea di combattimento.
Cosa dobbiamo fare allora:
1 – Dobbiamo superare il disorientamento di oggi: Il denaro non deve comandare deve servire per tutti i bisogni umani.
Noi europei abbiamo dimenticato cosa è stata la rivoluzione industriale all’alba del 1800, quale bagaglio di sofferenze e di sangue si è portata dietro; ricordiamoci che oltre alla lotta si svilupparono filosofie, teorie, e riflessioni, che coinvolsero le intelligenze di quell’epoca sia laiche che religiose.
Noi dobbiamo avere il desiderio e la forza di cambiare il mondo, di trasmettere valori di pace e di serena convivenza, di lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti la terra ancora vitale ed in condizioni migliori di quella che abbiamo ricevuto.
2 – Dobbiamo andare alle periferie del mondo, a volte le abbiamo vicino casa e non ce ne rendiamo conto (magari nello stesso condominio in cui abitiamo) ascoltare la gente, cosa che non facciamo più perché occupati a maneggiare il telefonino. Dobbiamo insegnare ai nostri figli il rispetto e la bellezza della natura e dell’arte, il rispetto delle idee altrui, il rigettare il superfluo. Dobbiamo lottare perché la ricchezza venga redistribuita in modo equo e solidale. I ricchi hanno l’obbligo morale e cristiano di alleviare le sofferenze dei poveri.
3 – La bandiera del cambiamento deve stare oggi in mano a tutti coloro che soffrono: ingiustizie, mancanza di lavoro, guerre, persecuzioni, malattie, delinquenza, orai di lavoro eccessivi, sfruttamento, assenza di dignità, schiavismo, colonialismo.
4 – La bandiera va tenuta insieme da chi è cristiano e da chi è comunista, la lotta è comune, per chi è ricco e per chi è povero,
5 – Abbiamo bisogno di tanti uomini e di tante donne di buona volontà per combattere e cambiare le cose. Per resistere alle tante sirene di questo universo consumista.