Pierre Moscovici – l’ultimo socialista francese

La sinistra europea merita di fare la fine che sta facendo. È questa l’idea finale del post che segue di Heiner Flassbeck suscitata dall’osceno spettacolo di un socialista francese e un socialdemocratico olandese all’avanguardia nell’attacco delle burocrazie europee all’Italia. E ormai dell’oscenità della sinistra europea non meriterebbe neanche più parlarne. Non serve criticarla, attaccarla, combatterla. Fa tutto da sola. Ogni atto, ogni parola, ogni gesto è un passo verso la sua totale e definitiva distruzione. Anche parte della grande finanza, che si sta accorgendo di cavalcare un cavallo zoppo, a breve l’abbandonerà e cercherà altra carne viva a cui avvinghiarsi. Ma non avremo tempo per assistere al penoso spettaccolo del dimenarsi senza scopo di un morto che cammina, e non ne avremo neanche voglia. La Storia ci avrà chiamato alla nostra prossima barricata.

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di Heiner Flassbeck

Pierre Moscovici, che, in qualità di commissario europeo per gli affari economici e monetari, sarà probabilmente l’ultimo socialista francese a ricoprire un alto incarico politico, ha scritto una lettera (insieme al vicepresidente responsabile della Commissione, Valdis Dombrovskis). È una risposta al ministro delle finanze italiano in merito al progetto di bilancio del governo italiano, in cui dichiara che nella stesura del patto di stabilità e crescita il progetto rappresenta una deviazione senza precedenti dai tagli concordati nella spesa pubblica.

Questo è un giudizio molto severo, che indica che la Commissione, sotto la guida di un commissario francese che appartiene a un partito defunto chiamato Parti Socialiste, vuole fare dell’Italia un esempio. Poiché la BCE non sta facendo nulla per tenere sotto controllo i “mercati”, dove si specula sui titoli di stato italiani, si scatena una tempesta perfetta contro il governo italiano. Senza dubbio questa tempesta ha l’obiettivo di sottomettere il governo italiano appena eletto, o almeno di intimidirlo a tal punto da adottare la “disciplina fiscale” europea.

Chi ha creato questa tempesta perfetta?

Si può essere certi che i preparativi per questa tempesta siano stati concertati e che il governo tedesco abbia svolto un ruolo decisivo. È sorprendente quanto poco il governo tedesco abbia detto riguardo al caso italiano nelle scorse settimane. A parte un’intervista relativamente moderata con il ministro federale delle finanze, il governo tedesco e i partiti che lo appoggiano non hanno fatto attacchi violenti sull’Italia, mentre i principali “media” della Germania hanno schiumato dalla bocca. Questo può solo significare che il governo e i leader del partito hanno accettato di non essere visti come i brutti tedeschi questa volta, in considerazione dell’umore anti-tedesco della popolazione italiana, ma di lasciare il lavoro sporco alle istituzioni europee.

 

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La BCE è stata sicuramente coinvolta nel processo e, in considerazione della situazione legale (divieto di finanziamento statale), la massiccia pressione politica e il fatto che un italiano, Mario Draghi, è il suo presidente, non ha altra scelta che fare ciò che ci si aspetta da lei, cioè mettersi da parte passivamente e lasciare che i “mercati” facciano il loro lavoro. I critici della BCE dovrebbero inoltre notare che, contro la resistenza e le azioni legali tedesche, la Corte di giustizia europea non ha fatto riferimento all’intera operazione di quantitative easing (QE) come finanziamento pubblico semplicemente perché la BCE potrebbe sostenere credibilmente che questo strumento dovrebbe essere considerato come politica monetaria. Il QE è servito a impedire la deflazione in tutta l’unione monetaria. L’intervento a favore di un singolo paese è esattamente ciò che è necessario in vista della speculazione con le obbligazioni italiane, se non fosse per il fatto che gli ostacoli giuridici sono troppo alti.

Cosa dovrebbe fare l’Italia?

È difficile prevedere cosa farà il governo italiano nelle prossime settimane dopo che la Commissione ha respinto il bilancio. Considerando le numerose voci, tra cui alcune in Italia, che mettono in guardia dall’avviare un percorso che si conclude con l’uscita dell’Italia dall’euro, la risoluzione del Movimento a 5 stelle in particolare, che ha pochissime competenze economiche indipendenti, potrebbe indebolirsi. Dal punto di vista politico, tuttavia, è certo che il ritiro dell’Italia avrebbe conseguenze fatali per l’Europa.

Le vie d’uscita dalla crisi in Italia sono legalmente ostruite, bloccate da altre nazioni, o impraticabili per ragioni per le quali l’Italia non è responsabile. Il percorso attraverso l’aumento delle eccedenze delle esportazioni, che l’Italia ha spesso perseguito con successo in passato, non esiste più nell’unione monetaria perché la Germania, con la sua posizione competitiva acquisita in anni di dumping salariale, sta bloccando qualsiasi tentativo in questa direzione. Tagli salariali assoluti, come nel caso della Grecia, porterebbero al collasso del già debole mercato interno italiano e aumenterebbero direttamente la disoccupazione.

Le possibilità della politica monetaria sono state a lungo esaurite dall’Italia e dall’intera Europa, per cui non ci si può aspettare una soluzione dalle aziende o dal “mercato”. Inoltre, anche in Italia le aziende sono risparmiatrici, il che significa che in realtà peggiorano la situazione della domanda anziché migliorarla. Logicamente, in questa situazione, solo lo stato può prendere l’iniziativa di guidare il paese fuori da anni di crisi aumentando la spesa e il deficit. Chiunque blocchi questo percorso politicamente o legalmente è un pazzo.

La fine della socialdemocrazia

Il fatto che la socialdemocrazia in Europa sia stata per anni incapace (o meno) di riprendere una connessione così semplice e usarla dimostra politicamente che i suoi giorni sono contati. Né i socialisti francesi né i socialdemocratici tedeschi (e le larghe sezioni degli altri “sinistri”, in particolare i verdi) si oppongono alla follia neo-liberista, perché decenni fa hanno mancato l’opportunità di mettere il loro programma su una solida base economica. La loro paura del keynesianismo con i suoi “debiti” era così grande che hanno preferito vendere le loro anime al diavolo, abbracciando il mainstream neo-liberale.

Oggi, quando il “debito” è diventato una questione esistenziale per le nazioni e per l’Europa, questa è una nemesi amara. Un partito in grado di affrontare questo problema in modo illuminato e in grado di affrontare questo nuovo mondo, in cui le aziende risparmiano invece di investire, inizialmente avrebbe un enorme vantaggio intellettuale rispetto ai concorrenti. Poiché queste interconnessioni puramente logiche non sono una “teoria”, un partito (o un movimento!) potrebbe facilmente comunicarle a una popolazione scettica. Potrebbero chiarire all’elettorato quanto il cittadino venga ingannato dal centro-destra. Ma a quanto pare non hanno il coraggio e allo stesso tempo la capacità di prendere tre semplici passaggi logici. Chi sceglie la via dell’estinzione non merita di meglio.

Tratto da flassbecks economics interntional

 

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