Pubblichiamo di seguito il comunicato ufficiale con cui il Centro Studi per il Patriottismo Costituzionale rende pubblica la sua posizione ragionata sull’imminente firma dell’intesa economica tra Italia e Cina.
«Questo documento d’intesa non costituisce un accordo internazionale». Così recita la parte finale del memorandum che Italia e Cina si apprestano a firmare in occasione della imminente visita del presidente cinese in Italia. Già solo queste parole dovrebbero bastare a costringere al silenzio la numerosa schiera di voci che hanno tuonato contro il pericolo di asservimento dell’Italia al paese asiatico. Ma sappiamo che non basteranno, come non basteranno le successive affermazioni: «Nessuna parte di questo documento è da considerare come base di impegno legale o finanziario per le controparti.» E del resto, siamo sicuri che non basterà neanche questa ulteriore precisazione, tratta sempre dal paragrafo finale del documento: «Il presente documento d’intesa verrà interpretato secondo la legislazione delle controparti e la legislazione internazionale …». E siccome il ciglio severo della Commissione europea si è già aggrottato, come era facilmente prevedibile, il paragrafo si conclude così: «… e per la parte italiana anche secondo la normativa dell’Unione Europea.»
Ma niente, non è bastato. E se non è bastato, le ragioni di tanta e tale levata di scudi interna e internazionale sono altre. Ma andiamo con ordine.
La presenza cinese nelle infrastrutture portuali italiane non è all’anno zero.
Secondo uno studio della Srm (centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo), ad oggi, gli investimenti cinesi nei porti italiani e nelle infrastrutture connesse ammonterebbero a 4 miliardi di euro. Grazie a questi investimenti il traffico container negli ultimi 20 anni nel mar Mediterraneo è cresciuto di 6 volte, il +500%.
Il centro dell’Europa si sta nuovamente spostando nel Mediterraneo.
Nel 1995, le rotte transpacifiche rappresentavano il 53% dei traffici globali, quella Europa-Estremo Oriente solo il 27%. Oggi il gap è notevolmente diminuito: la seconda ha raggiunto il 42% mentre la prima è scesa al 44%.
Nel 2001 solo il 34% del volume di traffico che entrava attraverso il canale di Suez veniva gestito nei porti interni del Mediterraneo, mentre il resto attraverso il porto di Gibilterra proseguiva verso i porti dell’Europa del Nord. Oggi la percentuale si è invertita: è il 56% delle merci ad essere movimentate nei porti del Mediterraneo.
Due sistemi economici a confronto.
Si sta profilando un incontro-confronto tra due sistemi economici: l’economia mista a guida statale cinese e l’economia guidata dal capitale privato sulla base del mercato autoregolato dominante in Occidente. In questo confronto è il primo ad avere l’iniziativa, soprattutto dopo i fallimentari risultati ottenuti dal secondo modello, sia negli USA, ma soprattutto nella zona euro, dove l’imposizione tedesca di una “salutare” competizione basata su regole (disegnate a misura della sua economia) uguali per economie diverse ha prodotto la distruzione di immense capacità produttive nell’Europa mediterranea e in Italia in particolare. I successi dell’economia cinese sono soprattutto un pericolo per le classi dirigenti europee, e in particolare franco-tedesche, che hanno finora guidato trionfalmente il fallimento del progetto economico e politico della zona euro. Quelle stesse classi dirigenti politiche ed economiche che, sia detto per inciso, in collaborazione con le capitali politico-finanziarie anglo-americane, e trovando potenti e volenterose sponde in Italia, hanno nel giro di poco più di una decina d’anni distrutto il sistema di economia mista, costruito tra gli anni ‘950 e ‘970, che ha fatto grande l’Italia.
Pensare nuovamente in termini di interesse nazionale.
È inutile nasconderselo: la Cina ha un piano. Del resto è nella natura di una economia mista consapevole di sé fare piani. E se l’economia mista è quella di uno stato che si avvia, che lo si voglia o meno, a diventare uno dei poli, se non il polo più importante, del nuovo mondo multipolare, i piani hanno carattere e portata globale.
E ancora: la Cina sta investendo enormi capitali all’estero. Capitali di derivazione statale, per lo più. Sarebbe ingenuo nascondersi l’interesse cinese a tutelare e rendere sicuri tali investimenti. Ma il problema non è che la Cina ha un interesse nazionale che sta attivamente perseguendo, bensì che noi in Italia abbiamo perso l’abitudine di ragionare in termini di interesse nazionale. Se lo facessimo, ci preoccuperemmo per esempio del fatto che, nel 2018, a fronte di 300 miliardi di capitali esteri investiti in Italia, 800 miliardi di risparmi italiani sono investiti all’estero. Grassi risparmiatori traditori? No, risparmiatori umanamente razionali e previdenti. In Italia il mercato autoregolato imposto dall’Unione europea ha fatto il deserto, e nel deserto piantare semi non significa essere patrioti, ma piuttosto dei mentecatti.
I piccoli interessi di bottega e i grandi disegni si rivelano.
Sarebbe in cima alle priorità di un governo che perseguisse l’interesse nazionale creare le condizioni per mobilitare tutta l’immensa montagna di risparmio privato accumulato in Italia negli anni in cui “si viveva al di sopra delle nostre possibilità”. Non foss’altro che per avere maggiore peso nel determinare la destinazione anche dei capitali stranieri, nello specifico cinesi. Ma ci vorrebbe un piano, e nelle nostre vite dominate dal mercato autoregolato i governi non possono fare piani. Le grandi multinazionali sì. I governi no. E i risparmi lasciano l’Italia.
Di fronte a questo scenario desolante, alte sono le voci che gridano al “pericolo giallo”. Tra le tante, a noi interessa soprattutto quella di Matteo Salvini, il Capitano, che si è erto a difensore della sovranità nazionale di fronte ai presunti azzardi dei pentastellati. Ma il film che vediamo noi patrioti costituzionali è un altro: vediamo il leader di un partito-sindacato territoriale che è saltato con clamore sul cavallo sovranista e antieuropeista, lo ha corroborato con le legittime preoccupazioni degli Italiani per un afflusso apparentemente ingovernabile di immigrati irregolari dalle sponde africane, ma ora alla prova dei fatti del regionalismo differenziato e dell’accordo italo-cinese (e di altri segnali picoli e grandi) si dimostra essere nei fatti rimasto il leader di un partito-sindacato di un territorio la cui economia è legata strettamente alla e dipendente dalla economia tedesca e che nel contempo si è fatto garante degli interessi militari statunitensi nel sud Italia. L’uomo, insomma, a garanzia di quel patto che piano piano si sta delineando e che prevede la divisione di fatto dell’Italia tra tedeschi e americani. E, ultimo ma non meno importante, legato a un pensiero economico sostanzialmente liberista, e quindi privo delle categorie e degli strumenti concettuali necessari per rispondere in modo costruttivo e pacifico alla sfida lanciata dall’attivismo cinese.
Considerato tutto questo, noi patrioti costituzionali appoggiamo con convinzione l’operato del governo, nella persona soprattutto del capo del governo Giuseppe Conte e dei ministri pentastellati, accogliamo con favore l’appoggio all’accordo da parte del presidente Mattarella, e nel nostro piccolo anche noi lavoreremo perché la strada intrapresa dall’Italia sia percorsa sino in fondo, con pazienza, senso della misura e delle priorità, ma anche con coraggio e fermezza.
I patrioti costituzionali