Sul regionalismo differenziato abbiamo espresso tutto il nostro dissenso e preoccupazione con un comunicato di alcune settimane fa. Con questo post pubblichiamo la quarta puntata della nostra breve storia del federalismo fiscale italiano. Quello italiano, lo potremo chiamare il federalismo al tempo del “non ci sono i soldi”, tanto la deriva presa dal federalismo all’italiana e la scorciatoia imboccata dalle tre regioni del nord sono intimamente condizionate dalle regole europee dei vincoli di bilancio.
Riassumendo.
La costituzione riformata prevede un federalismo basato su quattro gambe: (1) la capacità fiscale del territorio e la relativa autonomia di entrata e di spesa; (2) un fondo perequativo a favore dei territori con minore capacità fiscale; (3) i livelli essenziali delle prestazioni come criterio guida della perequazione; (4) il rispetto «dei vincoli economici e finanziari» che derivano all’Italia «dall’ordinamento dell’Unione europea».
La riforma costituzionale viene recepita nel 2009 dalla legge 42 che ribadisce le quattro gambe e rimanda a una serie di decreti la sua attuazione concreta. La legge, per la gamba (2), parla di un fondo perequativo statale.
Nel 2013, il governo Monti taglia i trasferimenti ai Comuni e nel contempo mette in capo a questi ultimi una serie di tributi. Parallelamente trasforma il fondo perequativo da statale in comunale, il dovere redistributivo dello stato in solidarietà tra i comuni, un diritto in una elemosina. Dei Lep non c’è traccia, ma, non si sa mai, il pareggio di bilancio è messo in cassaforte. In assenza di una diligenza da assaltare, gli indiani dovranno vedersela tra di loro. E cominciarono a spuntare i primi sguardi in cagnesco.
I Lep non c’erano, ma i soldi andavano redistribuiti, così le varie commissioni tecniche furono incaricate di elaborare fabbisogni standard e capacità fiscali. Dal semplice e chiaro (i Lep) si intraprese la strada del complesso, pasticciato e quindi facile all’arbitrio del più forte (i fabbisogni e le capacità). Ma come facevi a calcolare i fabbisogni standard se non avevi i Lep? Semplice! Si prendevano in considerazione i servizi erogati in un dato territorio e quelli erano i fabbisogni standard. Il risultato fu fabbisogni standard molto alti nei comuni ricchi e fabbisogni molto bassi o assenti nei comuni poveri.
Ma anche con fabbisogni standard molto alti la differenza tra questi ultimi e la capacità fiscale dei comuni ricchi rimaneva sostanziosa. La prospettiva per le tribù indiane ricche era quella di veder trasferire risorse della propria tribù a un’altra tribù di indiani più meschinelli e poverelli. Così gli indiani ricchi, il cui peso è maggiore nei posti che contano, danno incarico a una delle varie commissioni incaricate di questo e di quello di trovare la soluzione. E la soluzione è presto trovata: si diminuisce la capacità fiscale dei comuni ricchi facendo entrare nel calcolo non tutti i tributi incassati, ma soltanto alcuni. Così. A sentimento.
Il risultato fu l’unico che un sistema di questo tipo può dare in qualsiasi tempo, clima, latitudine e altezza sul livello del mare: «pioveva sul bagnato»:
In base al metodo di considerare la spesa storica un buon misuratore del fabbisogno, nel posto dove c’erano più disagi sociali, erano attivati minori servizi e quindi si contavano meno fabbisogni per l’ente comunale. (Marco Esposito, Zero al sud)
Il fatto è che nel mondo fatato del “non ci sono i soldi” (o “le coperture”, per quelli studiati) si fa una confusione fatale: si confondono le risorse reali (le braccia, le menti, le macchine, i software, il sole, il petrolio, ecc.) con i soldi e si è convinti che i secondi siano limitati e quindi possano essere scarsi come i primi e che i primi appaiano d’incanto solo all’apparire dei secondi. Ecco perché gli indiani ricchi del nord quando parlano di “fabbisogno” hanno in testa il fabbisogno finanziario di un comune (i soldi in cassa) «e non quello vitale delle persone». Loro pensano che i soldi siano una cosa più vera delle persone.
Eppure, la realtà dei bisogni reali delle persone reali, rimanevano lì e reclamavano la priorità sulle questioni contabili. Perciò ecco pronto un nuovo incarico per una delle varie commissioni tecniche incaricate di questo e di quello: fare in modo che il calcolo dei bisogni reali delle persone reali dei comuni del Meridione desse un risultato minore di quello reale e, soprattutto, non diminuisse, e magari aumentasse, se possibile, quello dei comuni del Settentrione. L’obiettivo era sempre quello: fare in modo che il fabbisogno standard di ciascun comune non si discostasse, se non di poco, dalla spesa storica. Detto in altri termini, non togliere soldi a chi li aveva già e non aggiungere servizi per chi non ne aveva mai goduto o ne aveva goduto poco.
Il risultato dell’impresa fu resa pubblica nel gennaio del 2017, durante l’audizione dell’ANCI e dell’IFEL alla Bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale. Dal momento che i tecnici delle commissioni di cui sopra non avevano trovato neanche un indicatore di disagio sociale che facesse aumentare il calcolo delle spese in servizi sociali dei comuni del Meridione, e che queste rimanevano ostinatamente basse (e quindi da integrare attraverso la perequazione orizzontale tra comuni), i tecnici si inventarono un «effetto regionale» riferito alle aspettative in termini di servizi dei cittadini delle varie regioni,
ovvero, se tu sei un comune veneto o emiliano vivi in un contesto in cui ti aspetti maggiori servizi, mentre se sei campano o calabrese in fondo lo sai già che ti devi accontentare. (Marco Esposito, Zero al sud)
L’operazione è evidente se si osserva la tabella illustrativa che segue, tratta dal prezioso libro di Marco Esposito, che a sua volta la trae dal resoconto dell’audizione dellAssociazione Nazionale dei Comuni d’Italia e del suo braccio operativo (la potete trovare a pag. 51 del documento):
e che così illustra:
Si parte dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: siamo tutti uguali. Solo che qui è burocraticamente definita costante di fondo: un fabbisogno uguale per tutti in Veneto come in Calabria di € 63 pro capite. Poi si misurano le specifiche esigenze della popolazione e visto che il disagio sociale risultava maggiore nel Mezzogiorno si sale a un fabbisogno di 66 al sud e si scende a 60 al nord. Però al sud i lavoratori accettano stipendi più bassi e quindi il servizio costa meno per cui si scende a 65 al sud e si passa a 61 al nord. Poi si tiene conto che se offri più servizi cresce anche la domanda e visto che i servizi erano più al Nord, lì si sale a 63 mentre al sud si scende 63. Tutti questi conteggi per tornare al punto di partenza di 63 pari. Siamo di nuovo alla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
A questo punto ecco intervenire il parametro dell’«effetto regionale» che riporta le cose a posto, ovvero a far corrispondere grosso modo il fabbisogno standard alla spesa storica e le disparità di spesa tra nord e sud.
La variabile che viene definita «effetto regionale» ha una sua buona dose di arbitrarietà, ma ha una sua finalità: limitare quanto più possibile la distanza tra il risultato del calcolo del fabbisogno standard (si ricordi sempre che si tratta di soldi, di fabbisogni di spesa, e non di bisogni di servizi da parte della popolazione) e la spesa storica di un territorio in servizi relativi. E sempre in funzione di questo obiettivo, o a sua giustificazione, lentamente prese piede una particolare interpretazione dei Lep, che ancora non erano stati stabiliti, ma che prima o poi avrebbero dovuto essere stabiliti. Ovvero, l’idea di Lep quali
livelli standard non uniformi sul territorio nazionale, in quanto correlati con i livelli di domanda locale. (Marco Esposito, Zero al sud)
Perché, come affermò la senatrice Magda Angela Zanoni, del Partito Democratico, componente della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale sino al marzo del 2018,
Se una comunità non ha ritenuto, in tutti questi anni, di aver bisogno di alcune cose, non è che possiamo obbligarli ad averle solo perché vogliamo che sia un meccanismo equo su tutto il territorio.
Insomma, al sud hanno meno servizi perché hanno bisogno di meno servizi, e quindi non li richiedono.
Se non vedete il circolo vizioso e perverso in questo ragionamento, complimenti, vivete nel migliore dei mondi possibili, in quella giungla camuffata da parco giochi in cui si è trasformato il nostro paese.
E anche per oggi è tutto. Diffondete, se condividete.