Ricchi, ma ancora un po’ scemotti

Vi proponiamo un articolo di Guido Salerno Aletta, economista e già vice segretario di palazzo Chigi, apparso su Teleborsa del 26 aprile. L’articolo traccia un quadro all’apparenza paradossale se non schizofrenico della situazione economica italiana: a fronte di una finanza pubblica sempre sull’orlo di una crisi di nervi, la situazione finanziaria del settore privato italiano gode di ottima salute. Situazione apparentemente paradossale, dal momento che il debito pubblico è sempre il risparmio privato (e noi, frenati dall’erronea e interessata identificazione neoliberista del debito pubblico con quello privato, invece di godere e sfruttare questa ricchezza la viviamo come una colpa da espiare). La schizofrenia, poi, non è della situazione, ma delle categorie e dei dogmi economici con cui tale situazione viene percepita e giudicata.

Valutando positivamente la proposta di “italianizzare” ancora di più il debito pubblico, lasciamo a un articolo successivo alcune considerazioni che ci allontanano radicalmente dalla posizione dell’autore. Buona lettura.

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di Guido Salerno Aletta

La verità, prima o poi, viene a galla.

È di questa settimana il riconoscimento, anche sulla grande stampa, del fatto che l’Italia non è poi messa malaccio come si dice in continuazione: la sua posizione finanziaria netta sull’estero, nel confronto tra attività e passività complessive, è ormai quasi in pareggio.

Alla fine del terzo trimestre 2018, il saldo è stato negativo per soli 54,7 miliardi di euro (neppure il 3% del PIL), mentre era ancora di -141 miliardi alla fine del secondo trimestre 2017. Il miglioramento prosegue da diversi anni, trainato dal consistente attivo della bilancia dei pagamenti correnti.

Spicca, in particolare, la posizione finanziaria netta della componente privata dell’economia italiana (assicurazioni, fondi, famiglie ed imprese), il cui saldo è stato positivo per ben 969 miliardi di euro, vantando attività all’estero per 1.918 miliardi di euro, di cui 1.244 per investimenti di portafoglio.

Nel 2018, il surplus di conto corrente con l’estero è stato pari a 45,3 miliardi di euro (2,6% del PIL) rispetto ai 48 miliardi del 2017. Mentre l’avanzo per le merci si è ridotto da 55,8 a 48,5 miliardi, i proventi netti da investimenti sono aumentati da 10,8 a 14 miliardi di euro (0,8% del PIL). L’Italia ha dunque pagato all’estero interessi, profitti e rendite per 57,4 miliardi, incassandone per 71,4.

I saldi commerciali attivi, insieme a quelli attivi nel bilanciamento tra rendite finanziarie incassate dall’estero e pagate all’estero, ci hanno fatto recuperare una solidità insospettata: gli italiani, se solo lo volessero, potrebbero comprarsi dagli stranieri tutto il debito pubblico che questi ultimi detengono, guadagnandoci davvero nello scambio.

Già, perché molti italiani, in questi anni, sono stati terrorizzati dallo spread che impazzava, e sono stati indotti a portare i propri risparmi all’estero, investendo soprattutto in Germania, anche se lì i titoli di Stato hanno rendimenti negativi.

Scemotti, quindi, molti italiani continuano a consegnare allo Stato tedesco più euro di quanti questo stesso promette di restituire loro alla scadenza dei titoli.

Se il debito pubblico della Germania cala in continuazione, è soprattutto per via dei sacrifici che sono stati fatti soprattutto dagli investitori stranieri, quelli che si vedono falcidiato il capitale versato, non solo per i sacrifici imposti ai contribuenti tedeschi.

Per il timore di un default del debito pubblico italiano, con il solito rating delle Agenzie che ci massacra classificandolo ad appena due notch sopra il livello di “spazzatura”, lo Stato italiano offre rendimenti ragguardevoli, che ingrassano la rendita strozzando lo sviluppo.

Facciamoci due conti.

I dati recenti relativi al debito pubblico italiano, riferiti alla fine del 2018, indicano in 684 miliardi di euro le detenzioni dei non residenti, su un debito complessivo di 2.316 miliardi: una somma pari al 30% di quest’ultimo. Al netto delle detenzioni indirette, il debito pubblico detenuto all’estero è appena il 25% del totale in circolazione ed il comparto privato dell’economia italiana detiene all’estero una quantità di asset in grado di riscattarli ampiamente: invece di perderci sul capitale, investendo ad esempio in titoli tedeschi, incasserebbe ricche cedole per interessi sul debito italiano.

Bisogna che gli italiani aprano finalmente tutte e due gli occhi: potrebbero vendere i titoli stranieri che hanno in portafoglio, su cui perdono in linea capitale per via dei rendimenti negativi, per acquistare titoli italiani da cui incasserebbero comunque degli interessi.

Bisogna ridurre finalmente l’entità degli interessi sul debito pubblico italiano, che è ancora troppo alta, a livelli ancora irragionevoli: un avanzo primario elevato impone poi sacrifici insostenibili alla economia reale.

Gli Italiani stanno speculando su loro stessi, da troppi anni: la gran parte di loro paga troppe tasse, che servono per pagare una quota degli interessi, decine di miliardi di euro l’anno: è un sistema di cui finora hanno beneficiato un po’ tutti. Banche, assicurazioni, fondi di investimento e previdenziali incassano per interessi sul debito pubblico una quota delle imposte, indebitando lo Stato per consentirgli di pagare il resto degli interessi.

Gli Italiani, strozzini di sé stessi.

Ricchi, ma ancora un po’ scemotti.

Vedi l’articolo originale.

 

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