di Patriottismo Costituzionale
Certo che la posizione del grande capitale e della borghesia redditiera italiana si sta facendo difficile.
Poverini.
Incapaci e illegittimati a governare direttamente il popolo che un destino cinico e baro gli ha dato in sorte, hanno escogitato l’astuto piano di nascondersi dietro i figli nati male e cresciuti peggio delle due maggiori forze popolari del dopoguerra – comunisti e democristiani – i quali a loro volta hanno demandato all’Unione europea la gestione dell’addomesticamento di questo popolo di fannulloni sempre pronti a buttare i soldi in donne e alcolici.
E ora si trovano tra l’incudine e il martello.
Da una parte un popolo che non ne può più di sacrifici, disoccupazione, liste d’attesa annuali per una semplice visita medica, pressione fiscale alle stelle, impoverimento, esistenze sempre più precarie.
Dall’altra i nostri partner europei che vogliono a tutti i costi più disciplina fiscale, più avanzi di bilancio, più austerità. E le tentano tutte per ottenerla.
In mezzo, loro, con le loro idee sulla sana economia di mercato, sulla moneta che è una merce scarsa e te la devi guadagnare, sulla piena occupazione che prevede un tasso di disoccupazione a 2 cifre, sui pareggi (avanzi) di bilancio, sul privato bello, onesto ed efficiente e il pubblico brutto, corrotto e sprecone, con il loro liberismo rigido, schematico e ideologico.
E ora, questa ideologia, che da sempre serve ai dominanti per dominare i dominati, gli si sta ritorcendo contro. Perché c’è sempre qualcuno più grosso di te che ti impone il liberismo che lui è libero di non praticare. E che ti fa capire d’un tratto che tanto astuto non sei.
Prendiamo, per esempio, il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) e la sua riforma in corso di discussione nei salottini appartati dell’Eurogruppo in cui si svolgono “riunioni [a] carattere informale e … discussioni … riservate“. Ci facciamo spiegare cosa bolle in pentola da Giampaolo Galli, direttore dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani presso l’Università Cattolica, uomo di provata fede eurista, anche lui però ora attestato sulla linea del “dopo l’euro, il diluvio”, a seguito della ritirata strategica dalla linea avanzata del “Con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più.”
Nella sua audizione presso le Commissioni riunite V e XIV della Camera dei Deputati del 6 novembre 2019, il professor Galli spiega che
il MES è l’istituzione che svolge la funzione di “lending of last resort” nell’Unione Monetaria. Il solo fatto che esista questa istituzione è un fattore che tranquillizza i mercati e rende meno probabile il ripetersi di situazioni di crisi. In sostanza, il MES è un’assicurazione che noi paghiamo, come tutti gli altri, e che non solo ci protegge in caso di crisi, ma anche riduce la probabilità che la crisi si verifichino.
Peccato però che
la riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) di cui si sta discutendo in Europa contenga alcuni elementi di criticità per il nostro paese.
Vediamoli. Il MES
è regolato da un Trattato ad hoc, richiamato nel Trattato del Fiscal Compact, ed è quindi esterno al perimetro dell’Unione Europea … [e] non risponde delle sue azioni al Parlamento Europeo.
Nella più classica tradizione a-democratica della Ue. Perché l’Europa sarà pure “dei popoli”, ma la Ue di sicuro no.
Ma veniamo alle proposte di riforma.
La riforma in itinere sposta decisamente l’asse del potere economico nell’Eurozona dalla Commissione Europea al MES. (…) il MES sta di fatto diventando quello che nelle intenzioni iniziali della Commissione avrebbe dovuto essere il Fondo Monetario Europeo.
E se la Commissione vi sarà apparsa come un covo di burocrati al servizio di francesi e tedeschi che dietro i numeri, i conti e le percentuali nascondeva il vero intento di sottomettere l’Italia, le proposte di organizzazione del MES ve la faranno rimpiangere.
Il punto fondamentale della proposta appoggiata dai fratelli del Nord (no, non i Leghisti, loro si limitano a proporre i regionalismi potenziati) Europa è
l’idea che un paese che chiede aiuto al MES debba ristrutturare preventivamente il proprio debito, se questo non è giudicato sostenibile dallo stesso MES.
Per capire cosa ci sia di male in questa proposta, dobbiamo chiarire in cosa consista una ristrutturazione del debito.
Ristrutturare il debito significa essenzialmente due cose: tagliarlo (“haircut”), similmente a come ha fatto la Grecia nel 2012 con i creditori privati, decurtandolo del 53,5% (107 miliardi di euro); allungarne le scadenze e/o abbassandone i rendimenti (anche questo è un passo compiuto dalla Grecia nel 2012). (vedi qui)
Cominciate a capire perché sono preoccupati?
Il 70% circa del debito pubblico italiano è detenuto da privati e istituzioni finanziarie italiane. Il che significa che il “taglio dei capelli” si abbatterebbe soprattutto sul risparmio italiano.
Risparmio che è concentrato nelle mani di pochi:
Capirete bene che quei pochi, mischinetti, si preoccupano.
Ma in effetti, preoccupati dovremme esserlo tutti. Perché nel mirino ci siamo tutti. Anche il restante 80% di noi che deve accontentarsi di dividersi il restante 28% della ricchezza nazionale. Perché il MES ha tutti i caratteri della diabolicità tedesca affiancata dall’altezzosità sprezzante francese.
Nella bozza di revisione del Trattato del MES
al MES [sono trasferiti] tutti i poteri che ha oggi la Commissione riguardo alla prevenzione e gestione delle crisi
ed è detto esplicitamente che
“il MES svolge le proprie analisi e valutazione dal punto di vista di chi eroga prestiti”
Senza tante perifrasi, insomma, si dice esplicitamente che il MES, che dovrebbe essere l’organo supremo di governo dell’economia all’interno dell’eurozona, rappresenta i creditori. Che l’eurozona è una comunità monetaria fondata sul credito. E che la sovranità appartiene ai creditori (quelli grossi, chiaramente, non l’astuta borghesia italiana) che la esercitano attraverso il MES.
Sempre nella bozza, poi sono previsti le CAC (with) single limb (aggregation).
…
…
…
O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; / o mente (…) / qui si parrà la tua nobilitate.
Noi ci proviamo a spiegarvelo.
Prima, però, una precisazione: la vera novità della proposta sta in quel (with) single limb (aggregation). Le CAC (Clausole di Azione Collettiva), infatti, sono state introdotte con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze nel dicembre del 2012 a seguito del Trattato sul Meccanismo Europeo di Stabilità adottato dal Consiglio dell’Unione europea nel 2011. A partire dal 1° gennaio 2013, le nuove emissioni di titoli di Stato aventi scadenza superiore ad un anno sono soggette a tali clausole.
Nella sostanza si tratta di una serie di regole che permettono agli Stati che vivono una situazione di difficoltà di attuare una ristrutturazione del debito che darà la possibilità di ricontrattare interessi e scadenze dei Titoli di Stato emessi, così come di proporre agli investitori anche lo scambio con obbligazioni differenti. In altri termini, con le CACs l’emittente (Stato Italiano) in caso di dissesto finanziario (…) potrebbe decidere per una rinegoziazione cercando, coi detentori dei bond, una quadra. Per il risparmiatore verrebbero quindi a cadere tutta una serie di certezze che da sempre hanno guidato gli investimenti in BTP e similari:
- La scadenza può essere posticipata
- Le cedole possono essere posticipate e variate (anche annullate)
- I rimborsi dei bond possono essere decurtati dall’emittente (decoupling)
- Il modo in cui gli interessi vengono pagati possono essere modificati
- Anche la valuta può essere cambiata.
(fonte)
Il trattato del 2011 prevede che
per far si che la clausola CACs prenda corpo, oltre al consenso dell’emittente, è richiesta una maggioranza qualificata del 75% dei possessori del 75% dell’ammontare nominale aggregato dei titoli di debito in circolazione o una richiesta scritta dei 2/3 dei possessori come sopra indicato. (fonte)
Insomma, le clausole scattano se c’è il consenso di una maggioranza molto qualificata dei detentori dei titoli. Ma ormai questo ai nostri fratelli dell’Europa del Nord non basta. Ed è per questo che propongono la novità del meccanismo denominato (with) single limb (aggregation). Per cercare di comprenderlo ci infiliamo dritti dritti nella tana del lupo:
Le obbligazioni di uno stato sovrano sono in genere divise in più emissioni diverse, o “serie” (con diverse scadenze, importi di interessi, ecc.). I CAC single-limb [letteralmente, a ramo singolo] consentono alla maggioranza di votare su tutte queste “serie” unite insieme, senza la necessità di una maggioranza a livello dei titolari di ogni singola “serie”. Ciò riduce il rischio di “opposizione”, vale a dire che un piccolo gruppo di obbligazionisti decide di non prendere parte alla ristrutturazione, costituendo una minoranza per bloccarla, nella speranza di ottenere un accordo migliore per se stessi. Queste “opposizioni” possono comportare ritardi nella risoluzione di una crisi del debito.
Nel trattato ESM riveduto, i membri dell’ESM si impegneranno a introdurre CAC a singolo arto in nuove obbligazioni sovrane dell’area dell’euro emesse a partire dal 1 ° gennaio 2022. (fonte)
Le ristrutturazioni, insomma, saranno molto più semplici, e con loro il taglio dei capelli ai risparmi degli Italiani, o almeno di quegli Italiani che ne hanno, risparmi intendiamo, non capelli. Noterete pure che il lupo dà già per scontata l’approvazione della riforma del trattato, e di avere quindi nel sacco la sua preda.
Riassumiamo. Nelle intenzioni dei nostri fratelli europei del nord le due novità principali del nuovo trattato sul MES, la ristrutturazione del debito prima della concessione del prestito e la maggiore semplicità di attuare la ristrutturazione stessa, dovrebbe ottenere il risultato di indurre l’Italia a fare ancora più sacrifici per abbassare il suo debito pubblico così come previsto nel Fiscal Compact. E così abbiamo due alternative: o ci spariamo una pistolettata alla tempia da soli o ce la sparerà il MES. Nel classico modo unioneuropeo di far coincidere obiettivi e punizione.
Cosa significherebbe per l’Italia una prospettiva di intervento del MES e della relativa necessaria ristrutturazione preventiva del debito pubblico ce lo facciamo dire sempre da Giampaolo Galli:
occorre considerare che l’Italia ha risparmio di massa e che il 70% del debito è detenuto da operatori residenti, tramite le banche e i fondi di investimento. In queste condizioni, una ristrutturazione sarebbe una calamità immensa, generebbe distruzione di risparmio, fallimenti di banche e imprese, disoccupazione di massa e impoverimento della popolazione senza precedenti nel dopoguerra. Nessun governo può prendere una decisone del genere se non nel momento in cui perdesse l’accesso al mercato e non fosse più in grado di pagare stipendi, pensioni, fornitori ecc. Una ristrutturazione preventiva sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in applicato a milioni di persone che hanno dato fiducia allo Stato comprando titoli del debito pubblico. Sarebbe un evento di gran lunga peggiore di ciò l’Italia ha vissuto negli ultimi anni a causa dei fallimenti di alcune banche. (fonte)
Un quadro, detto per inciso, non molto diverso da quello catastrofico disegnato dal Galli stesso appena un anno fa nel cap. 8 del suo Cosa succede se usciamo dall’euro?
Qual è la lezione per l’Italia, secondo Giampaolo Galli? Sempre la stessa:
La lezione per l’Italia è che conviene pensarci prima: puntare ora a un avanzo di bilancio che metta il debito su un solido sentiero di discesa, piuttosto che farlo dopo una devastante ristrutturazione del debito. (fonte)
Come se il fatto che siamo ormai dagli inizi degli anni Novanta del secolo scorso che facciamo avanzi di bilancio, e che la cosa non abbia per nulla funzionato, non significhi nulla. Ma, si sa, il liberismo è un atto di fede. È un ideale mai del tutto realizzato sulla terra (figuriamoci in Italia) per il quale ci si può e deve impegnare sempre un po’ di più. E poi, insomma, dobbiamo essere grati al Galli, perché ci offre una terza alternativa rispetto alle due riportate sopra (ricordate? spararci o farci sparare in testa dal MES): morire lentamente per asfissia.