I ponti non crollano per fatalità.

Se siete frequentatori di Facebook perché ormai vi vengono i conati di vomito a leggere i giornaloni e a guardare quelle facce di bronzo degli imbonitori dei tg, pubblici o privati che siano, mentre spargono urbi et orbi la dose quotidiana di idee precofenzionate, mezze verità, verità distorte, menzogne e favole; se avete deciso di fare voi la vostra informazione, a rischio anche di incappare in qualche bufala o trappola; se avete deciso di essere liberi, con il rischio di sbagliare che ogni libertà comporta …

… se avete deciso questo, vi sarà di certo capitato un qualche utente, amico o sconosciuto, che taglia la discussione con l’«argomento dell’esperto», quello secondo cui se non sei un medico (ma molto esperto, eh …) non puoi discutere di vaccini, se non sei un economista non puoi discutere di debito, se non sei giurista non puoi discutere dell’iniziativa del magistrato Patronaggio, se non sei ingegnere non puoi discutere del crollo del ponte Morandi, e così via. Secondo me, questo argomento è un’altro dei tanti semi avvelenati che la propaganda neoliberista ha fatto crescere nelle nostre teste, funzionale a farci digerire il «governo degli esperti» (o tecnici), sapete, quella roba tipo il governo Monti … Ma per una volta accettiamolo, e sulla strage di mercato di Genova diamo la parola a un esperto: un ingegnere.

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di Davide Gionco

In ingegneria i rischi non sono fatti di parole o chiacchiere.

Il rischio è un fattore che viene concretamente misurato.

Il crollo del Ponte Morandi di Genova è assolutamente inaccettabile non solo dal punto di vista umano, ma anche dal punto di vista tecnico.

Ingegneristicamente parlando non significa nulla che il ponte fosse vecchio, problematico, a rischio, che il traffico fosse aumentato, ecc.

In ingegneria i rischi si misurano utilizzando sistemi di rilevamento.

Quando la soglia di rischio supera il livello di accettabilità, il ponte deve essere chiuso alla circolazione e sottoposto alla necessaria manutenzione, ordinaria o straordinaria, per riportare il livello di rischio entro livelli accettabili.

Nei casi in cui non fosse conveniente ristrutturare l’opera, la si demolisce e poi la si ricostruisce.

 

Provo a spiegare in parole semplici che cosa è il grado di rischio.

Tutti gli eventi hanno un grado di probabilità di accadimento ed una magnitudine, ovvero la gravità delle conseguenze dell’evento. Il rischio zero non esiste. Ad esempio anche un ponte nuovo e costruito a regola d’arte non è progettato per reggere l’impatto con un meteorite.

Se un meteorite colpisse il ponte, il ponte crollerebbe, provocando dei morti. La magnitudine si calcola quantificando i danni materiali insieme alla morte delle persone. Per questo tipo di calcoli è necessario anche dare un valore monetario (statistico) alla vita delle persone. Ad esempio si potrebbe stimare i danni causati dal crollo del ponte, tutto compreso, a 2 miliardi di euro.

La probabilità che un meteorite colpisca il ponte è di 1 su 10 milioni. Moltiplicando la magnitudine per la probabilità di accadimento si ottiene un valore che è il grado di rischio, che nel caso specifico vale 2 miliardi diviso 10 milioni, che fa 20’000 euro. Normalmente il rischio del crollo di un ponte causa meteorite, che vale 20’000 euro, viene ritenuto accettabile.

Ma se il rischio di crollo fosse di un caso su 20 (Ponte Morandi?), allora il rischio varrebbe 2 miliardi diviso 100, che fa 100 milioni, valore che non è ritenuto accettabile. Ovvero: con un rischio di 100 milioni si dovrebbe intervenire sul ponte per ridurre le probabilità di crollo (con interventi tecnici idonei) oppure ridurre la magnitudine del danno (chiudendo il ponte alla circolazione e demolendolo).

 

Ed ora ritorniamo al crollo del viadotto di Genova.

Oggi la tecnica mette a disposizione tutti gli strumenti per valutare il rischio di crollo di un ponte: sondaggi, sensori, droni, ecc.

Anche se si tratta di un ponte vecchio, costruito male, ecc., è sempre possibile calcolare la probabilità di un crollo e la gravità delle conseguenze (morti e danni materiali). E nei casi in cui vi siano dei dubbi, vale l’ipotesi cautelativa. La società Autostrade per l’Italia aveva, quindi, tutti i mezzi (pagandoli) per calcolare il grado di rischio del Ponte e prendere le necessarie decisioni.

Questo significa che, in assenza di fenomeni eccezionali (tipo meteorite), il crollo di un ponte in esercizio può avvenire solo per due ragioni:

1) Una mancata rilevazione del grado di rischio, per cui il rischio di crollo non è conosciuto e l’evento del crollo avviene di conseguenza senza essere stato previsto.

2) Il grado di rischio è stato correttamente misurato, ma alla constatazione del rischio di crollo non sono seguite decisioni per la messa in sicurezza (ristrutturazione, chiusura al traffico, demolizione, ricostruzione, ecc.)

In entrambi i casi l’ente gestore, nello specifico la società Autostrade per l’Italia, è responsabile. Nel primo caso per non avere svolto i necessari rilevamenti per misurare il grado di rischio dell’evento. Nel secondo caso per non aver fatto seguire al rischio di crollo delle azioni necessarie per la messa in sicurezza, in un modo o nell’altro, del ponte.

Nel caso del crollo del Ponte Morandi, quindi, la società Autostrade per l’ltalia è a mio giudizio certamente e pienamente responsabile per le suddette ragioni.

Aggiungerei anche un concorso di colpa dello Stato, nella persona degli enti incaricati della sicurezza delle strade, in quanto pur avendo appaltato ad una società privata la gestione della tratta autostradale, non ha fatto il necessario per verificare che Autostrade per l’Italia fosse adempiente rispetto alle richieste contrattuali di garantire la sicurezza del ponte in oggetto. Lo Stato si è fidato ciecamente delle relazioni tecniche fornite, o non fornite, dal gestore privato.

Come chiedere all’oste se il suo vino è buono, per poi scoprire che conteneva etanolo ed era velenoso.

Fonte: Attivismo.info

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